Alla scoperta del Myanmar: un treno da brividi
Lasciata la valle di Bagan ed arrivato a Mandalay, mi dirigo subito verso Mingun, dove visito la sua enorme pagoda, probabilmente la più grande pila di mattoni al mondo. Segnata dai terremoti, ne fu completato solo un terzo. La sua altezza sarebbe infatti dovuta essere di 150 metri.
Qui a Mingun è custodita anche una delle campane più pesanti al mondo e tutti i visitatori, immancabilmente, vi entrano dentro per sentirne il suono.
A poca distanza la bellissima pagoda Hsinbyume, tutta colorata di bianco, il cui aspetto simboleggia Sumeru: la montagna al centro del mondo nella cosmologia buddhista.
Tornando verso Mandalay faccio una sosta nel villaggio di Inwa, situato in una delle zone più incantevoli della regione. Fu capitale del Myanmar per ben quattro volte nel giro di trecento anni e sembra impossibile guardandolo oggi, con la sua atmosfera rilassata e tranquilla.
A Mandalay ammiro un indimenticabile tramonto sul ponte U-Bein, ad Amarapura. Si tratta del più lungo ponte in legno teak del mondo, oltre 1200 metri sul lago Taungthaman.
Nel centro di Mandalay si trova una copia ricostruita del palazzo reale che, dall’esterno, ricorda molto la Città Proibita di Pechino. Oggi gran parte della struttura è inaccessibile ed appartiene al regime militare.
La città è molto caotica ma è possibile facilmente trovare luoghi di pace e di tranquillità, come alcuni monasteri in legno o le solite innumerevoli pagode che la notte sembrano trasformarsi in un luna park, ricoperte da addobbi e lucine, come ovunque in Myanmar.
A dominare Mandalay dall’alto c’è una collina. Proprio qui in cima ammiro uno degli ultimi tramonti di questo mio intenso viaggio.
Il giorno seguente salgo a bordo di un treno diretto a Nawngpeng. Molto lentamente, dopo alcune ore, la linea ferroviaria si avvicina allo scricchiolante viadotto di Gokteik.
Costruito più di 100 anni fa, il ponte è ancora lì ed i treni che percorrono l’unico binario, lo attraversano a passo d’uomo, mentre chi non soffre di vertigini osserva incuriosito dai finestrini. Dopo un’intera giornata a bordo delle caratteristiche ferrovie birmane, rientro a Mandalay in tarda serata.
Dopo tre settimane, ero quindi arrivato alla fine di questo cammino in una terra in cui il tempo sembra essersi fermato. Con il volo da Mandalay a Bangkok e alla turistica Thailandia, si sarebbe definitivamente rotta quella magia che mi aveva accompagnato tra i sorrisi macchiati di betel, i canti dei monaci, le innumerevoli pagode d’oro e i suggestivi paesaggi rurali del Myanmar. Ma ero davvero riuscito a comprendere questo paese così misterioso? Ero davvero riuscito a perdermi in quel labirinto di pensieri e spiritualità? Impossibile dirlo con esattezza. Ben presto sarei stato di nuovo bersagliato dalle mille distrazioni della nostra società materialista, ma difficilmente avrei dimenticato il grande insegnamento che il Myanmar mi aveva lasciato: imparare ad ascoltarsi.
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