Myanmar, un luogo dove il tempo sembra essersi fermato

Nella quinta puntata di Eden – Un pianeta da salvare, di Licia Colò, andata in onda il 10 febbraio 2020 su La7, ho raccontato il Myanmar, un luogo magico a cui sono particolarmente legato.

Il Myanmar è uno dei paesi più mistici e autentici d’Oriente. Terra di mille pagode, monasteri e risaie, dove la vita di tutti i giorni è scandita dai rituali buddhisti. Per oltre mezzo secolo isolato da una dittatura militare, il Myanmar, o Birmania, è oggi uno dei paesi più poveri e meno occidentalizzati al mondo. E’ poco più grande della Francia e confina con il Bangladesh, l’India, la Cina, il Laos e la Thailandia.

Il Myanmar è ricco di luoghi incantevoli e persone sorprendentemente cordiali. Yangon è la città più grande e moderna, nonché la vecchia capitale, prima che la giunta militare decidesse di spostarla a Naypyidaw, nel centro del paese.

La pagoda Shwedagon è uno dei luoghi più sacri di Yangon e dell’intera Birmania. Questa pagoda è alta 100 metri ed è interamente ricoperta da foglie d’oro. Si dice che qui siano custoditi otto capelli dello storico Buddha Gautama, nonché altre reliquie dei suoi tre predecessori. Ogni giorno centinaia di fedeli si riuniscono nell’immensa terrazza che circonda lo stupa, e qui pregano. Quando il sole tramonta e le luci iniziano ad accendersi, si assiste ad uno spettacolare tripudio d’oro.

Uno dei luoghi naturali più belli e interessanti del Myanmar è il lago Inle: una distesa placida circondata da montagne. Qui vive il popolo degli intha, i figli del lago. I pescatori utilizzano ancora le tradizionali reti coniche e spingono le proprie barche usando una tecnica particolare, con una sola gamba.

Ci troviamo nello stato Shan, il più orientale del paese. Accanto alle case in legno, enormi distese di giardini galleggianti: fertilissime isolette ancorate al fondo grazie a pali di bambù in cui si coltivano soprattutto pomodori. Da queste parti tutti si muovono a bordo di piccole canoe in legno.
Nei dintorni del lago Inle ci sono diversi siti archeologici davvero affascinanti, uno di questi è Inthein, situato in un canale che si dirama a ovest. Sulle sue colline, ciò che resta di alcuni antichi stupa, circondati dalla vegetazione. Questi monumenti nel buddismo hanno la funzione di conservare reliquie e ricordare eventi della vita terrena del Buddha.

Numerose minoranze etniche vivono in questa zona, ciascuna con le proprie usanze e con i propri abiti tradizionali. Per gli abitanti del Lago Inle i fiori di loto sono una fonte di fibre vegetali che danno vita a una morbidissima seta. Le fibre vengono estratte manualmente dal gambo del fiore e vengono poi filate e tessute a mano secondo i metodi tradizionali.

Uno dei luoghi più sacri del paese è la roccia di Kyaiktiyo, la Golden Rock. Si trova in cima alla catena montuosa di Yoma e, secondo la leggenda, i pellegrini che compiono il tragitto per tre volte in un anno vengono ricompensati con ricchezze e fortuna.

Il suo colore è dovuto alle numerose foglie d’oro attaccate dai fedeli sulla roccia ogni giorno. Si pensa che sia una ciocca di capelli di Buddha a tenerla ferma nella sua strana posizione. Che si creda o meno alla leggenda, c’è qualcosa di strano in questo luogo, soprattutto se si pensa che la roccia è riuscita a resistere a diversi forti terremoti nel corso degli anni.

Mandalay è una delle più grandi città del centro del paese e fu capitale del regno birmano fino all’occupazione britannica del 1885. Indimenticabile il tramonto sul ponte U-Bein: si tratta del ponte in legno teak più lungo al mondo, poco più di un chilometro, e fu costruito usando le colonne del vecchio palazzo reale durante lo spostamento della capitale da Amarapura a Mandalay.

La città è attraversata dal fiume Irrawaddy che si snoda lungo l’intero Myanmar. Sull’altra sponda del fiume si trovano alcuni dei siti archeologici più incantevoli del paese: l’incompleta pagoda di mattoni di Mingun, oggi segnata dai terremoti, sarebbe dovuta essere alta 150 metri ma ne fu completato solo un terzo. C’è poi la pagoda Hsinbyume, tutta colorata di bianco, il cui aspetto simboleggia Sumeru: la montagna al centro del mondo nella cosmologia buddhista.

In Myanmar ogni persona adempie al proprio compito morale diventando monaco o monaca almeno una volta nella vita. Per una settimana, un mese o un anno, ciascuno si è rasato il cranio e ha indossato la tunica arancione. È assolutamente possibile passare dalla vita laica a quella monastica e viceversa.
In Myanmar la vita di ogni giorno è scandita dai ritmi della fede buddhista. Un viaggio da queste parti è quasi un viaggio nel tempo, oltre che nello spazio. E’ come ritornare indietro in un’epoca che sembra lontana anni luce dalla nostra società frenetica, un contatto intimo con la terra e con i suoi elementi.

Le sue pagode d’oro, il suono dei campanelli degli stupa nei templi, interrotto solo dalle risate dei bambini che giocano o dal canto incessante dei monaci, rendono il Myanmar un posto davvero unico. Questo paese, che a tratti strizza l’occhio all’occidente, sembrando cedere alle sue avances, tuttavia non dimentica di essere quel luogo speciale dove si percepisce ancora un intenso sapore antico che travolge di bello chi lo visita, regalando istanti di felicità.

Nelle calde pianure che costeggiano il fiume Irrawaddy, nel Myanmar centrale, sorgono più di 2000 templi, che si perdono a vista d’occhio in ogni direzione su un’area di oltre 70 chilometri quadrati. Furono costruiti durante uno dei boom edilizi più stravaganti della storia, tra l’anno 1050 ed il 1280. Questa è Bagan.

Patrimonio UNESCO dal 2019, da queste parti ogni alba e ogni tramonto è una vera e propria opera d’arte. Una pace indescrivibile regna su questa valle: difficile spiegare la semplice grandiosità di ciascuna di queste antiche pagode. Uno di quegli spettacoli da ammirare in silenzio, cercando un intimo contatto con la cultura millenaria del Myanmar.

Ogni mattina, prima del sorgere del sole, durante la stagione secca, sopra i templi di Bagan è possibile ammirare la suggestiva danza di decine di mongolfiere.
Tiziano Terzani ha scritto: “Ci sono viste al mondo dinanzi alle quali uno si sente fiero di appartenere alla razza umana. Bagan all’alba è una di queste”. Aveva proprio ragione.

Scritto da Fabio Liggeri